Dobbiamo fare attenzione, io che scrivo e voi che leggete.
Dobbiamo essere capaci di farne un cuneo.
Non dirò chi sono.
Ma abito nella vostra scala.
Vi scrivo perché vi amo e soffro per voi.
Sono un angelo.
Siete caduti in trappola.
In un pozzo da cui non vedete via d’uscita.
Girate in tondo in un labirinto senza uscita.
Un labirinto di vetri, dove sbattete la testa.
Siete caduti nel campo di un congegno: ogni volta che scatta, siete obbligati a percorrerlo da cima a fondo, sempre lo stesso.
Vi precipita in un processo che dovete attraversare per intero, senza scampo.
Sempre lo stesso.
Disperatamente.
Quando precipitate nel processo, non avete più alcun controllo.
Iniziate a urlare e continuate tutto il tempo.
Siete dominati da disperazione e caos.
Siete necessitati a viverli fino alla fine del processo.
Non potete modificare in alcun modo il processo.
Se vi riconoscete, datemi fiducia.
Se non vi riconoscete, è perché questo è ciò che sento io, ma ascoltatemi lo stesso.
Perché io vi sento, quando la vostra furia straborda e sale e scende per le scale, vi sentiamo tutti, ma parlo solo per me: io ho paura, quando sento la vostra furia, sento quanto soffrite e come assistete impotenti e disperati alla vostra furia, ho paura che un giorno possa travalicare ogni limite e diventare catastrofe, ho paura, soffro con voi e ascolto impotente.
Ma perciò siamo tutti responsabili, tutto noi della scala, perché vi lasciamo soli in questa trappola, e voi potete illudervi di essere soli, che siete prigionieri di segrete infernali, ma non è vero, siete dentro una comunità, ne siete parte, sono questi condomìni che atomizzano le famiglie, sono queste pareti e queste porte e scale che distruggono la comunità, è l’individualismo imperante, l’atomizzazione spinta, la solitudine esistenziale delle metropoli, ma noi ci siamo, siamo qui intorno a voi, e vi sentiamo, e fino a quando restiamo chiusi nei nostri appartamenti senza intervenire siamo responsabili di ciò che vi accade: perché se suonassimo al vostro campanello al primo grido, ed entrassimo in mezzo a voi, stessimo con voi, il processo muterebbe radicalmente, prenderebbe tutt’altre strade, insieme potremmo costruire qualcosa, invece che distruggere.
Quante volte ho esitato davanti alla vostra porta, dietro cui gridavate da morire, e mi sarebbe bastato suonare il campanello, entrare fra voi, perché tutto cambiasse radicalmente.
Sono anni che il congegno vi tormenta, forse un giorno riuscirete a spaccarlo da soli, ma quando?
Chi vi aiuta? Avete cercato aiuto?
Certo che avete bisogno di aiuto, ve lo dice un angelo che vi guarda dall’alto e dal di fuori, tutti abbiamo bisogno di aiuto, anche voi, perché nessuno può farcela da solo.
Allora c’è qualcuno che vi aiuta? Uno psicoterapeuta, uno psicologo, uno psicoqualcosa?
Serve, serve a tutti, spero che non siate di quelli che credono che solo i pazzi hanno bisogno dei curatori d’anime.
Serve ma non basta.
Se non l’avete ancora fatto, fatelo subito, dovete farlo, o non vi salverete: cercate immediatamente uno psicoqualcosa che vi aiuti.
Ma se già ce l’avete, in ogni caso non basta.
Non esiste la soluzione.
Ogni condizione è risultante di una quantità enorme di forze in gioco.
Per trasformare qualunque condizione dobbiamo fare di tutto, non possiamo sapere cosa funzionerà e come e insieme a cosa, dobbiamo fare un mucchio di cose su un mucchio di piani in un mucchio di direzioni diverse, danzare, rimescolare, provare, riprovare, continuare, in tutte le direzioni, in tutti i modi: un giorno sarà tutto così cambiato, e pure noi, ci troveremo in una condizione così diversa, senza sapere come, così altri da essere salvi.
L’ira distrugge, l’ira è il peggiore dei nostri mali.
La vostra energia è enorme, e quando il congegno la incanala nell’ira, distruggete ogni cosa.
Vi distruggete l’un l’altro e voi stessi.
Ma quando il congegno è scattato non potete fare più nulla.
La vostra libertà è prima e dopo il processo: durante il processo non siete liberi.
Allora dovete studiare, leggere una quantità di libri, guardare una quantità di film, parlare con una quantità di persone, con tutti, con noi della scala, con i vostri colleghi e compagni, con amiche e amici, con psicologi, sociologi e studiosi di ogni branca dello scibile umano, dovete raccontare ciò che vi accade a tutto il mondo, e sapere che in tutto il mondo accade, e che tutte le guerre del mondo vengono dallo stesso congegno, ciclopicamente e catastroficamente attivo in questo universo, ma possiamo scardinarlo, insieme possiamo farlo, dobbiamo solo cambiare postura.
Allora sperimentate, provate ogni cosa, per modificare la postura che avrete nell’istante in cui scatterà il congegno: se avrete una postura diversa, inevitabilmente il processo sarà diverso.
Ripetete a freddo le scene tremende che avete vissuto, fatene una recita fra di voi, ripetete le battute, i toni, i gesti che avete usato, e scambiatevi i ruoli, sperimentate e studiate le azioni e reazioni di ognuno durante il processo, e poi cercate scene alternative, ipotizzate azioni e reazioni diverse, e recitatele di nuovo e ancora, create nuovi copioni, datevi nuove strutture.
Scrivete, descrivete le scene tremende che avete vissuto, tenete diari, stendete relazioni, componete poesie, musiche e canzoni, disegnate le scene, dipingetele, come sono avvenute, e come invece vorreste che fossero avvenute: raccontatevi le soluzioni che desiderate.
Lavorate indefessamente, studiate sodo.
Allenatevi a riconoscere quando la temperatura si avvicina all’incandescenza che attiva il congegno e sperimentate come si modifica il processo modificando la situazione di partenza: cosa succede se rinunciate ad una giornata di lavoro o di scuola ? se vi chiudete a chiave in una stanza e interrompete qualunque comunicazione? se invece continuate a lottare ma bendandovi gli occhi? o se gridate sussurrando? in quali e quanti modi potete alterare la condizione iniziale e quali ne sono le conseguenze?
Se sarete capaci di modificare anche solo di qualche millimetro la traiettoria dei vostri processi, avrete salvato il mondo.
So che non posso scrivere tutto questo e nascondermi per sempre, sarebbe ingiusto e perpetuerebbe lo stallo in cui la nostra società è caduta.
Fino ad oggi non ho saputo suonare al vostro campanello.
Ma se anche voi lo voleste, se credeste davvero che possa essere d’aiuto, e foste pronti e preparati all’evenienza, allora forse un giorno ne sarei capace.
Dunque in chiusura vi propongo questa audacissima prova.
Se decidete che lo volete, appendete un segno fuori della vostra porta, un segno qualunque, lasciatelo appeso qualche settimana, così io saprò che lo volete, e quando un giorno troverò anch’io la giusta postura, un giorno che inizierete a gridare, suonerò al vostro campanello: poi vedremo cosa saremo capaci di inventare insieme, scardinata la porta che vi separa dalla comunità.
Vi abbraccio e vi faccio coraggio.
Siate intrepidi scopritori di nuove terre.
Scardinate il congegno!